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L idea di fondo è interessante, attuali le riflessioni sulla guerra, sembrano quasi profetiche. Purtroppo però la prosa volutamente aulica storpia il tutto e ci si perde in voli pindarici,in descrizioni troppo forbite.....pagine e pagine di nomi, luoghi, richiami che fan perdere il filo conduttore......peccato
*recensione semi-autobiografica. Sono molti anni che sento parlare di questo libro. Mi era stato consigliato dai miei amici studiosi della Grande Guerra, ma, come spesso accade, non sentivo ancora giunto il suo momento. Inoltre, non avevo mai letto nulla di Paolo Rumiz. Il risultato è stato incredibile. Fin da piccolina sentivo i racconti della mamma sui miei bisnonni: entrambi si chiamavano Giuseppe, ma uno era alpino e l’altro faceva parte della Kriegsmarine. Questi racconti quasi mi apparivano mitici, per quanto li sentivo lontani, ma dentro di me avvertivo, senza realmente comprendere, la complessità delle mie origini. Verso gli 8 anni ho scoperto le passeggiate in Carso; queste erano contraddistinte da un mio sentimento che percepivo come una sensazione di tragedia. La prima gita scolastica a Redipuglia non mi aveva lasciato grandi ricordi, finché una seconda visita, più approfondita sulla dolina dei Bersaglieri, mi ha sconvolta. Nella mia immaginazione sono apparsi quei ragazzi, tutti quei Presente in attesa in un placido silenzio, che nella notte si risvegliavano e scendevano sulle case del piccolo paesino di Fogliano. Solo da grande ho iniziato ad amare davvero il Carso, a sentirlo parte delle mie origini, come ha scritto Rumiz: ✒️“Ma la terra capta segnali. Vibra, come il pennino di un sismografo. Sente il fronte, fiuta posti da arma bianca nella notte nera. Trincea delle Frasche, San Michele, Selz, Monte Sei Busi. Se la piana mi è ignota, conosco a memoria queste alture. So che ogni metro è impregnato di agonie, segnato da vite smembrate, crocefisse su reticolati o mutilate da tagliole. Ma so anche che nulla, su quel terreno, rammenta l’immensità del dolore. Dovrei calpestare bossoli, immondizie, sangue, stracci, membra umane, gavette, resti di cibo, zoccoli, ferri, escrementi, suole di scarpe, ma l’uomo e la natura hanno cancellato ogni cosa. La notte profuma di erba, e interi paesi dormono, banchettano e fanno l’amore sui resti di un immane sacrificio umano.” 🖋️ Durante gli studi universitari a Trieste, e l’intencrementarsi della mia curiosità, ho iniziato a pormi ben altre domande: ma l’altro mio bisnonno, quello paterno e scontroso nato nel 1896 a Monfalcone ha combattuto durante il primo conflitto? Nessuno sapeva nulla, solo dopo una ricerca del suo foglio matricolare in archivio ho scoperto la verità: Oreste ha combattuto nel 97 reggimento imperiale sul fronte galiziano. Ma perché nessuno me ne ha mai parlato?! Qualche mese fa, per una di quelle coincidenze che la vita spesso regala, ho tenuto una conferenza a Cracovia. Qui ho risentito le mie radici, quelle giuliane, quelle di un mondo mitteleuropeo che non esiste più ma si respira ancora nella lingua, nella gastronomia e nei volti delle persone. Così geograficamente lontana da casa, mi sono ritrovata, come durante le mie passeggiate rigenerative in Carso. Per concludere questa lunga digressione, posso soltanto dire: leggetelo! Magari per le persone che non sono della Venezia Giulia o del Trentino tutto ciò sarà ancora criptico e incomprensibile; ma sicuramente risulterà a tutti facile e anche doloroso vedere l’ultima parte del libro: la chiusura circolare della narrazione con un parallelismo tra il 1914 e il 2014, tutte le guerre del XX secolo e il crollo del sogno europeo, che ogni giorno lentamente muore in nome dei conflitti che ancora oggi incendiano il vecchio continente.